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CONTRA' COLLE ALTO ANNI 50-60...

 

Arrivando da Bassano, giunti poco prima della Corna, basta alzare leggermente lo sguardo e ti appare nella quasi sua interezza Colle Alto (Fimacoeo). Fimacoeo, perché diverso tempo addietro si chiamava Cima Colle, data la sua posizione.

Per ogni persona che abita in questa contrada è normale dare un'occhiata, magari alla propria abitazione. Dopo poche centinaia di metri, arrivando verso il centro abitato, poco prima della chiesa, inizia la strada carrozzabile che porta a Colle Alto. Fino a qualche decennio fa, era denominata Colle Alto soltanto la parte alta, dopo, come per altre vie del paese, è stato modificato e la denominazione si allunga di molto verso il basso fino a qualche centinaio di metri dalla chiesa, comprendendone tutte le abitazioni.

Se adesso ogni persona che abita in questa via può raggiungere la propria abitazione comodamente con qualsiasi mezzo motorizzato, questo non era possibile negli anni 50-60 (e tantomeno prima).

A differenza di alcune contrade del paese in cui la strada è arrivata ai tempi della prima guerra mondiale, in Fimacoeo è arrivata nei giorni che vanno dal 13 al 15 aprile 1970.

Il tratto che va da dietro la chiesa fino al ponte sul Silan compreso era stato fatto in vari periodi negli anni precedenti. A questo punto, in pochi giorni e con un buon scavatore moderno, si è arrivati a fare tutto il tratto che mancava. Il primo stralcio invece, era stato costruito scavando a mano (TOT) da persone di una certa età del paese, che venivano impiegate per quattro ore al giorno.

Chi abita in alto, al centro della contrada, ha la possibilità, girando lo sguardo verso est o verso ovest, di poter vedere il paese completo. Una volta (molto più di adesso) si diceva che la parte di paese verso la chiesa era il mondo di qua e verso ovest era il mondo di là. Anche Colle Alto ha alcune abitazioni nel mondo di là.

Se, come detto, Colle Alto è stato raggiungibile con mezzi motorizzati nell'aprile 1970, fino agli anni '50-'60 la via principale era una mulattiera che partiva vicino al ponte sul Silan giù in paese e su per la Pontara si snodava verso la parte alta. Arrivando la strada carrozzabile, sono sorte diverse case nuove e ristrutturate quasi tutte quelle che esistevano prima. Le famiglie storiche che le abitavano erano: i Becari, i più numerosi, i Menini, i Sepa, i Nicoini, i Togni, i Onda, i Socai, i Nea,...

Per ciò che riguardava l'approvvigionamento dell'acqua per uso domestico, animale o per l'agricoltura (orti, tabacco, ecc...), quasi ogni casa aveva il pozzo che prendeva l'acqua dai tetti delle case. C'erano anche delle vasche per la raccolta dell'acqua ad uso animale, agricolo e anche per fare “la lissia”, l'acqua si prendeva sbarrando la mulattiera o in qualsiasi altro modo, pur di farla confluire verso la vasca stessa.

Se la casa non aveva il pozzo per l'acqua potabile, quando arrivava un temporale, si aspettava un po' che l'acqua lavasse i tetti e poi si mettevano fuori mastelli, secchi grandi e piccoli e qualsiasi altro recipiente per prendere acqua pulitissima, così per un paio di giorni si evitava di andare con “bigoeo e secci” in fondo alla Pontara per acqua. Questo per le case che si trovavano in Fimacoeo nel “mondo di qua”. Per quelle che si trovavano nel “mondo di là”, la gente andava nella Valle dei Corvi, sempre a piedi, a rifornirsi di acqua potabile.

L'acqua dell'acquedotto comunale, con due iniziative private degli abitanti di Colle Alto, è arrivata nelle case, la prima nel Gennaio e l'altra nel Novembre 1967. Tutto lo scavo fatto a picco e pala, partendo dall'acquedotto che da via Contrà, attraverso il sentiero che andava a Colle Basso, saliva su per i prati. Negli anni successivi il collegamento all'acquedotto del Comune è arrivato dalla vasca situata sopra Rovole.

Così qualche pozzo è sparito, ma i più ci sono ancora.

Ricordo che nello scarico esterno del secchiaio c'era sempre un vaso per prendere l'acqua di scarto e adoperarla per l'orto o altri usi. Non si buttava via niente.

Fino al 1970, Colle Alto era una delle poche contrade di Valrovina senza strada carrozzabile e chi andava a lavorare a Bassano e dintorni, doveva lasciare il proprio mezzo a Colle Basso o da qualche altra parte, scendendo al mattino e salendo la sera a piedi.

Per andare a Messa la domenica e giorni festivi, donne e ragazze partivano da casa con ai piedi ciabatte, zoccoli o scarpe da lavoro (a seconda della stagione o del tempo) e con le scarpe da festa in mano. Giunte alla fine della mulattiera, vicino al ponte, calzavano le scarpe “belle” e mettevano ciabatte ecc...al riparo dentro qualche buco della “margera”, per poi fare l'operazione inversa al ritorno.

I bei lavori edilizi che si vedono oggi lungo tutta via Colle Alto, non ci sarebbero mai stati senza l'arrivo della strada. Quindi, fino al 1970, chi doveva fare qualche lavoro di edilizia sulle case già esistenti, doveva farsi arrivare il materiale fino al ponte in piazza o a Colle Basso o a Rovole (questi ultimi un po' più fortunati) e dopo a spalle portare il tutto (sabbia, ghiaia, calce, cemento, travetti, coppi, ecc...) alle proprie abitazioni.

Le persone che in paese hanno sempre avuto la strada carrozzabile che passava davanti o vicino a casa, potevano considerarsi fortunatissime.

Fino agli anni 50-60 Valrovina era un paese dedito ancora all'agricoltura e all'allevamento (mucche, capre, maiali, conigli, galline, ciliegie, marroni, tabacco...) e grazie a chi cominciava a lavorare nel bassanese o stagionali in Lombardia, Piemonte, Val d'Aosta e con le rimesse di chi andava all'estero, iniziava a tirarsi fuori dalla miseria e dalla seconda guerra mondiale, come tutta l'Italia e ad andare verso i favolosi anni 60-70.

Come Valrovina, anche Colle Alto era una contrada agricola,e chi vendeva le proprie merci (ciliegie, marroni...) doveva munirsi di bigoeo e ceste e portarla in piazza vicino al ponte o a Colle Basso in attesa del camion di qualche commerciante. Chi aveva ciliegie e marroni di ottima qualità, partiva a piedi , sempre con bigoeo e ceste,nel cuore della notte per andare al mercato di Bassano, cercando di arrivare presto per piazzare meglio la propria merce e guadagnare di più, anche se con molta più fatica.

Fino alla prima metà degli anni '60 c'era ancora qualche nonna che con i “fastughi” del frumento invernizzo faceva la “dressa”. Serviva per fare borse e cappelli di paglia, la ditta che faceva queste lavorazioni era nel Marosticense. Per questo tipo di fastugo bisognava seminare il frumento in autunno per averlo a maturazione a fine giugno. Si tagliava con il falcetto (sesoeoto) e dopo averlo infilato in un grande pettine (pettenon) si tagliavano le spighe. Così la paglia restava a casa e le spighe, messe in sacchi, si portavano a Colle Basso dove arrivava la trebbiatrice.

Chi doveva macinare il granoturco o portare le olive per fare l'olio, si caricava la merce sulle spalle e giù fino al mulino di San Michele. Con il granoturco portavi in giù e portavi in su sempre lo stesso peso, mentre con le olive riportavi indietro un peso molto inferiore.

C'era anche chi, per vendere la propria merce, si muniva di buona volontà e partiva da giù in paese per salire a piedi a Colle Alto. Uno di questi era “Gatto” di Valle San Floriano, che passava di casa in casa a vendere olio.

Altre persone che passavano in quegli anni per fare il loro mestiere erano gli stagnini, gli straccivendoli, chi passava a vedere se c'erano mucche o vitelli da comperare, i caregheta che scendevano dal bellunese per costruire sedie in al completo. Bastava preparare una bella “taja” di ciliegio e ti costruivano delle belle sedie.

Non si può dimenticare la Marietta: abitava a Meneghetti, era una signora avanti con gli anni, magra, che passava per le case dove c'erano le nonne e donne che lavoravano i fastughi per fare la dressa. Raccoglieva il tutto, pagava, portava a casa sua e dopo qualche addetto passava per portare in ditta per la lavorazione. Un'altra donna che passava spesso per le case di Colle Alto era la Catinona, che abitava pure a Meneghetti. Un brutto giorno, passando per un sentiero pericoloso vicino ai Menegassi, è caduta nella valle. Fu trovata due giorni dopo ancora in vita, ma in seguito a questo non ce l'ha fatta.

In quegli anni, nei giorni precedenti la “sagra del Beato” arrivavano le carovane e mettevano in piedi la giostra. Si fermavano circa una settimana e fin dai primissimi giorni passavano per le case a chiedere chi avesse qualche pentola da aggiustare. Te le riportavano il giorno prima di partire, dicendoti di spalmare della chiara d'uovo e di metterle nel granaio per tre giorni. Il tempo di sparire...e dopo se tenevano bene...e sennò...

Fin che è rimasto in paese don Luigi Prando (1967), a seconda della produzione che ogni famiglia aveva, (uva, fieno...) si doveva portare per il sostentamento della Chiesa un collo (due ceste o un fasso di fieno) ogni venti. Con don Luigi viveva un suo zio, Amedeo, che “ghe piaseva el goto” e ci pensava lui a tutto...Arrivando don Severino è cessata questa pratica, si è passati a un'offerta.

Era una consuetudine il passaggio annuale di grandi greggi di pecore, con capre e asini che servivano per trasporto di vettovaglie e degli agnelli da poco nati. Salivano dal piano nel mese di maggio, dove avevano svernato nei campi e lungo i fiumi, per andare nei pascoli alti sopra Asiago e nei dintorni dell'Ortigara e andare a pascolare dove non arrivavano le mucche. A Ottobre facevano il viaggio di ritorno. Il loro passaggio era una gioia per tutti, piccoli e adulti.

Un altro appuntamento in cui c'era molto movimento era l'8 settembre, giorno della sagra di Rubbio. Già nel cuore della notte e al mattino molto presto era una processione di persone che, arrivando dal bassanese e dintorni in bicicletta o a piedi, imboccava la mulattiera fino a Colle Alto e proseguiva per la “Via Nova” fino ad arrivare a Rubbio. Era una festa per loro e anche per noi che in questo modo si aveva la possibilità di vedere una gran quantità di gente “diversa” da quella che vedevi tutti i giorni e ti godevi la loro allegria e i loro canti. Da metà pomeriggio e verso sera, bastava mettersi lungo la mulattiera per assistere al viaggio di ritorno.

Due date fisse che coinvolgevano tutto il paese: il 1' giugno e il 21 settembre, San Matio.

Il 1' giugno era il giorno in cui si portavano le vacche in malga. Già a maggio le vacche sentivano il bisogno di andare in montagna al fresco, come a fine settembre sentivano il bisogno di scendere verso il basso. Sono cose che il contadino percepisce molto bene. Le malghe più note e grandi erano diverse. La più vicina era Vallerana, poi Pian Casaretta, Pozzette, Col Novanta, Col dei Remi e Silvagno. Otto-dieci giorni prima di questa transumanza bisognava tagliare le unghie alle vacche, che dopo circa sette mesi ferme in stalla erano cresciute e portarle su per la mulattiera sopra Colle Alto perché potessero allenarsi un po', così da affrontare con meno disagi il lungo viaggio.

 

LA TRANSUMANZA

Il 1' giugno ci si alzava che era ancora buio, liberate le mucche e fatti gli ultimi preparativi si partiva. Strada facendo si raggiungeva o si veniva raggiunti da altri gruppi di vacche e persone e si proseguiva insieme dandosi una mano. Nelle belle giornate, l'importante era arrivare a Rubbio abbastanza presto, in modo che le mosche non dessero fastidio alle vacche. Passato Rubbio, il tratto di strada era più dolce rispetto alla Via Nova, un altro piccolo tratto duro da fare, soprattutto per le vacche, era Malcroba, per chi andava nelle malghe più lontane. Non sempre si era così fortunati da trovare una bella giornata per la transumanza, spesso si partiva con il tempo incerto e anche se poi iniziava a piovere, si doveva continuare per raggiungere la malga. Altre volte, raggiunta Rubbio senza pioggia, come ti inoltravi nell'altopiano c'era la possibilità di prendere la pioggia, che puntualmente arrivava. Arrivati al laghetto prima della Malga Verde, iniziava Malcroba con altro pezzo duro di salita. A questo punto, visto che anche tra le vacche c'èra quella meno brava delle altre a camminare, bisognava puntarsi sul "retro" e spingerle e a furia di aiutini si superava anche questo ostacolo.

Bisogna dire che le mucche più anziane sapevano già la strada e quelle giovani seguivano. Quando vedevano o sentivano in lontananza la presenza di altre loro simili, muggivano come per dire: -stiamo arrivando!!!-

Nei giorni di pioggia, giunti a destinazione molto bagnati, c'erano i malgari ad accoglierci, si portavano le mucche negli stalloni, ognuno legava le proprie vicine e quello era il posto che conservavano fino a fine alpeggio. Fatta questa operazione si andava nella grande cucina della malga, dove c'era sempre una bella polenta fumante e soprattutto un bel fuoco acceso dove a turno, girandosi attorno come uno spiedo, ci si asciugava avvolti da una nuvola di vapore. Oltre alla polenta c'era latte e formaggio, per rifocillarsi dopo la lunga camminata. Rimessi in sesto, si andava nella stalla per un ultimo sguardo e "saluto" ai propri animali, che forse si sarebbero rivisti il 14 luglio, giorno in cui in malga si effettuava il "peso del latte per definire il costo dell'alpeggio della mucca". Salutati i malgari, iniziava il viaggio di ritorno contenti. La malga più lontana era Silvagno e, tra andata e ritorno, erano circa 27 chilometri. Il ritorno era meno faticoso, si parlava e si scherzava e giunti a Rubbio, dove al mattino si era passati via con qualche saluto veloce (le persone di Valrovina e Rubbio di una certa età si conoscevano quasi tutte), c'era la possibilità di femarsi un pò, salutarsi e parlare di tante cose. Poi, scendendo verso Valrovina e giunti in località Forcella, quelli di Fagarè Alto e Fagarè Basso prendevano la via per il Pascolon, tutti gli altri imboccavano la Via Nova e ognuno a casa sua. Quando le vacche andavano in montagna, nelle famiglie c'era bisogno del latte e a questo si provvedeva allevando uno o due capre. Quando il latte non bastava le mamme lo allungavano con un po' d'acqua. 

 

GLI ANIMALI

Come già detto, negli anni 50-60 in ogni contrada di Valrovina c'erano molti animali, vacche, maiali, galline, conigli, capre, e anche a Colle Alto era così. Ancora oggi nella contrada qualche famiglia alleva animali domestici per avere prodotti genuini, ci sono la mucca e la capra di Giulio, il maiale di Sandro e tante galline in varie famiglie. Allora, ogni casa aveva una stalla in cui tenere qualche vacca e anche qualche capra. All'esterno, in baracche, gabbiotto o recinto, si tenevano conigli, galline e polli, così da avere la carne assicurata. I pulcini nascevano "in casa", vale a dire che nelle famiglie si metteva a covare la chioccia con uova fecondate da chi aveva un gallo e dopo 21 giorni nascevano i pulcini. Quei polli allevati allo stato ruspante si potevano mangiare dopo 5-6 mesi.

Per quelli che compriamo al supermercato oggi, passano solo una quarantina di giorni dalla nascita alla tavola...

 

LA VIA NOVA

La Via Nova, costruita durante la Prima Guerra Mondiale e che parte da appena sopra Colle Alto, è servita per avere il collegamento più comodo e veloce per l'altopiano di Asiago, zona del fronte di guerra, per far arrivare i rifornimenti di ogni genere ai soldati che erano in prima linea.

La Via Nova, che ai tempi in cui c'erano soltanto sentieri (trodi) sembrava un' autostrada, finita la guerra, è stata utilizzata dalla gente di Rubbio e altre contrade della zona per scendere a Bassano con i loro prodotti da vendere al mercato, burro, formaggio, sedano e anche un po' di legna per poi risalire verso casa dopo l'acquisto di generi di prima necessità, farina, sale, ... Scendevano carichi e risalivano sempre carichi. Per scendere a Bassano dovevano partire nel cuore della notte e quando non c'era la luna a rischiarare la notte, scendevano con dei lumi a petrolio(canfini), che arrivati a Colle Alto quando cominciava ad albeggiare, appendevano alle inferriate di qualche casa amica per poi riprenderli al ritorno. A quei tempi la Via Nova era tenuta molto bene, c'era anche lo stradino comunale, poi via via col passare degli anni, gli agenti atmosferici e soprattutto ultimamente il passare continuo di moto, l'hanno ridotta male. Tutti andavano a piedi e così si conoscevano tra loro, non come adesso che quando incroci una macchina non vedi neanche chi è il volante. Oltre che per gli abitanti di Rubbio, la Via Nova è stata molto comoda anche per quelli di Valrovina che avevano i masi da quelle parti, potendo usare la slitta per trasportare verso casa legna e fieno. Senza le mulattiere tutto veniva trasportato sulla schiena.

 

IL TABACCO E LA VITE

Negli anni 50 era diffusa la coltivazione del tabacco, un pò meno negli anni 60. Coltivazione che ha consentito ai nostri predecessori di avere, se non veniva la grandine, del denaro ricavato dalla vendita al monopolio di Stato e tirare avanti. In alcuni casi anche con il contrabbando. Incaricati della Guardia di Finanza passavano per i campi coltivati a tabacco e contavano le foglie di ogni pianta, alla consegna poi al monopolio i conti dovevano coincidere. Su qualche errore di conteggio e tante furbizie del coltivatore, come il dividere le foglie più grandi, prosperava il contrabbando. Poi, all'inizio degli anni 60, la coltivazione è andata via via scomparendo, molti terrazzamenti sono stati messi a prato, mentre in altri sono sorti dei bei vigneti. Durante la grande coltivazione del tabacco, si dice che a Valrovina si coltivava un milione di piante, si evitava di piantare viti nei terrazzamenti perché le viti facevano ombra e il tabacco ha bisogno di molto sole.

Al posto del tabacco sono stati messi a dimora tante viti, ciliegi e anche piante di olivo che fino ad allora si contavano sulle dita delle mani.

Per alcuni decenni si è andati avanti così, poi, visto che le nuove generazioni non bevono quasi più vino fatto in famiglia, ma soltanto birra, aranciate e coca-cola, le viti sono diminuite in modo drastico e gli ulivi sono aumentati in numero tale che ora è la coltura più diffusa.

Nei lavori della terra ci si aiutava molto(ci si rendeva il tempo). Quando in qualche famiglia capitava che una persona si facesse male o si ammalasse, questa famiglia andava in difficoltà. Bastava un passaparola ed era facile formare un gruppo di quindici- venti persone e trovarsi in un prato, la domenica mattina e in quattro quattr'otto falciarlo tutto. Prima però bisognava chiedere al parroco che naturalmente dava il consenso.

Comunque a Colle Alto c'è ancora chi coltiva delle viti e "ghe ze oncora un bon goto de vin".

A Colle Alto tra gli anni 50-60, qualche famiglia è partita, chi a Varese, chi a Bassano, alcune ragazze che erano andate a lavorare in Lombardia o in Svizzera, si sono sistemate da quelle parti. La Dina "dea Rosa" in Svizzera conobbe un pugliese, lo sposò e adesso vive in Puglia.

Lorenzino Marcolin, fidanzato con Elena Schirato, nel 1959 é partito per l'Australia in cerca di una vita migliore, nel 1962 è stato raggiunto da Elena, sposata per procura.

Se alcune famiglie hanno lasciato Colle Alto, altre ne sono arrivate. Sposando Gios (Giovanni Tosin), conosciuto in Svizzera, è arrivata Giuseppina dal lago d'Iseo e nel 1963 sono arrivati Silvio e Carla. Da Varese lui ma di origine trentina e da Milano lei. Hanno comprato la casa de Socai su al Coeseo e sono andati ad abitarvi. Avevano una capra e galline e si sono attorniati di una bella squadra di cagnolini sempre allegri quando passavi di là.

Alcuni decenni prima, era arrivata in contrada "una straniera": Amalia Dal Trozzo, nata a Ronchi Valsugana sotto l'impero Austro-Ungarico, che sposò Toni Sepa, conosciuto in Germania. Tutti la chiamarono sempre "la Tiroea".

 

IL PASCOLO

Le capre bisognava portarle fuori al pascolo su per le mulattiere e questo era compito soprattutto delle ragazze di 10-12-14 anni o di quelle persone avanti con gli anni. Le ragazze, portando al pascolo ognuna la propria capra si organizzarono per fare il "sucro ordo". 

Per farlo servivano: zucchero, acqua, carta, un tegamino, un cucchiaio e fiammiferi.

Si accendeva un piccolo fuoco a lato della mulattiera, si cercava un sasso abbastanza piatto e quando lo zucchero nel tegamino era sciolto ed aveva preso un colore orzato, si metteva la carta sul sasso, si bagnava e si rovesciava lo zucchero sciolto e bello caldo, quando si era consolidato e diventato tiepido si rompeva e ognuno succhiava la sua parte.

Un'altra persona che portava la capra al pascolo su per la mulattiera era Maria “Amia Tete” zia di Germano, Giovanni, Lorenzino,...Maria Marcolin (Nicoini). 

 

COLLE ALTO ANNI 50-60 SECONDA PARTE

 

Oltre alle persone che lavoravano lontano, Piemonte, Svizzera, ecc. c'era qualche adulto che lavorava la terra a tempo pieno o quasi. Telesforo.​

Oltre alla sua terra, d'estate con altri paesani andava dalle parti di Gressoney per la stagione del fieno (segantino). E dopo, nel tardo autunno e per tutto l'inverno andava di famiglia in famiglia, anche fuori paese a fare dei buoni salami. (norcino, santisaro). C'era il fratello Giovanni che a Colle Alto è stato l'ultimo a dedicarsi alla coltivazione del tabacco.​

Tutti avevamo qualche vacca e per diversi anni a casa "Becari" a turno si produceva formaggio burro e ricotta. Nella casa dove abitava Telesforo, negli anni antecedenti i 50-60, vi abitava una famiglia che di menda faceva Calsari, dove c'era una corte di bocce e dove si vendeva qualche bicchiere di vino. Era l'ultimo posto dove la gente di Rubbio che faceva il viaggio di ritorno da Bassano poteva fermarsi e ristorarsi un po'. Nella casa dove è nato e vissuto finché non si è costruito la casa a Colle Basso, Giovanin dea Nea aveva allestito all'esterno una piccola balera.

 

​I MASI

​Per mantenere le vacche che c'erano a Colle Alto non bastava il territorio coltivato a fieno attorno alla contrada, c'era ancora diversa terra per altre coltivazioni: tabacco, granoturco, frumento, patate, orto ecc. e quindi c'era bisogno di andare su in alto a fare fieno nei masi. Visto che i padri e fratelli erano a lavorare lontano c'era il bisogno che anche i ragazzi si dessero molto da fare sia In contrada che su per i masi.

Questo valeva soprattutto per le contrade più alte del paese e quindi anche Colle Alto. Poco dopo il 20 giugno quando il fieno in basso era già fatto, si andava su in alto e si cominciava coi masi. Il fieno veniva tagliato con la falce e col falcetto (sesoeoto). Si andava su il lunedì mattina presto se non la domenica sera e si tornava a casa sabato nel tardo pomeriggio. La notte si dormiva in qualche fienile con delle coperte vecchie e con i grilli che ti facevano compagnia.​ Le giornate di lavoro cominciavano col buio del mattino e finivano col buio della sera. Quando dopo una settimana si tornava a casa, la prima cosa che si faceva era andare a vedere orto, viti, ecc. e constatare che erano cresciute di molto. Quasi sempre ogni sabato pomeriggio si faceva il pagliaio (mea).

Per chi restava su per masi tutta la settimana, c'era chi doveva scendere tutte le sere a casa e preparare il mangiare da portare​ su il giorno dopo.​

Penso si sia capito che stiamo parlando delle mamme.​ A casa avevano conigli galline e polli da accudire, l'orto da abbeverare e altre faccende domestiche da sbrigare. Bisognava anche lavassero i panni a mano con brega e masteo, estate e inverno. Il mattino seguente sveglia all'alba, andare a prendere acqua potabile, fare il minestrone, la polenta, un salto in paese per un po' di spesa, altre volte cucinare un pollo, un coniglio ecc.

A una certa ora fare i preparativi per partire, appena dopo le 11. Le mamme che avevano i bimbi piccolissimi se li dovevano portare su per i masi. Quindi pensate: bigoeo con borsa del mangiare, pentola col minestrone e un bambino piccolo in braccio e magari un altro paio di pochi anni che la seguivano.​ Visto che non c'era il telefono e dovendo comunicare con casa, si aspettava di vedere un familiare, sperando che l'aria tirasse nel verso giusto e chiamarlo a gran voce. Comunque durante l'estate bisognava alternare periodi di lavoro su per i masi e altri in contrada.​

C'era da fare il secondo taglio dell'erba (ardiva) e per chi aveva tabacco seguire questa coltura.

Nella parte migliore di qualche maso ai primi di settembre si faceva il secondo taglio, il resto restava per quando tornavano le vacche dalle malghe. A mezzogiorno si mangiava assieme e col tempo sicuro si ripartiva con il lavoro. Verso sera le mamme ripartivano per casa. In questi anni il mangiare non mancava e per gli adulti c'era anche qualche bicchiere di vino mentre per i giovani c'era soltanto acqua che si prendeva da qualche​ vasca. Quando si andava su per la prima volta, nell'acqua della vasca si trovava sempre qualche animaletto. Si tirava fuori, una pulitina alla superficie dell'acqua per allontanare qualche pelo, si riempiva un pentolino, una bella spremuta di limone e via poi... in seguito ci si è un po' modernizzati e sono arrivate le bustine per fare l'acqua Alberani, però sempre meglio acqua e limone. Da su in alto, quando c'era un temporale, magari con grandine, da Colle Alto vedevi partire la scia dei colpi di cannone antigrandine che a un certo punto ti scoppiava quasi davanti. Sembravano i fuochi d'artificio che si fanno per la fiera di Bassano. Durante l'estate, una o due volte si andava a piedi in malga a vedere le proprie vacche e per l'occasione si portava sempre qualche frutto di stagione che i malgari gradivano con molto piacere.

 

RITORNO DELLE VACCHE DALLA MALGA

Come già detto il 21 settembre era il giorno in cui si andava in malga per riportare a casa le vacche, anzi chi aveva il maso con cason e stalla le fermava là per 20-25 giorni in modo che mangiassero l'erba cresciuta dopo il taglio del fieno e anche per avere un po' di letame per concimare il pezzo di prato migliore​.

In quegli anni nella parte alta di Valrovina vivevano stabilmente diverse famiglie a partire dai Vendramini e dintorni, contrada Merli, Molaghetti e fino ad arrivare a Casoni Alti.​

Quando si restava nel periodo autunnale su nei casoni con le vacche, c'era modo di incontrare anche queste persone e, essendo anche periodo di caccia, praticamente c'era vita. Un pomeriggio del primi giorni di ottobre 1959 è passato in contrada Merli per salutare tutti​ Marcolin Lorenzino vestito da alpino, che poco dopo è partito per l'Australia. Mi piacerebbe sapere se Lorenzino si ricorda di questo fatto. Finché si restava nei casoni con le vacche, una pratica che facevano in tanti era quella di costruire degli archetti (trappole per uccelli) da mettere nei posti giusti per catturare i volatili. Per fortuna che, almeno da queste parti è una pratica smessa da tanti anni. L'autunno​ era anche il tempo in cui si doveva portare la capra da qualche parte dove c'era un maschio (becco). per poterla fecondare, calcolando se Pasqua cadeva alta o bassa per avere i capretti pronti alla vendita la settimana santa. Le famiglie consideravano anche questo introito. Per questa mansione andavano le donne e di solito si andava all'Erta o a Crosara. Se la capra non veniva fecondata subito, si doveva tornare a riprenderla in un secondo momento. Per la fecondazione delle vacche si andava in piazza nella corte di Guglielmo e Gioacchino dove passava il veterinario o anche a San Michele da Natale Marin

 

​IL MAIALE​

Il maiale era ed è un salvadanaio vivente.​

Non per niente il simbolo del risparmio è un maialino. Si prendeva da piccolo a fine inverno o inizio primavera e con il siero (scoro), scarto della lavorazione del latte, finché le vacche non andavano in malga e con scarti di verdura e farinacei, nell'arco di 10 mesi raggiungeva il peso ideale. Le famiglie non buttavano via niente,quello che oggi si mette nell'umido e si paga una volta era tutto per il maiale. L'uccisione del maiale avveniva di solito prima di Natale per avere la possibilità di portare a tavola qualche buona pietanza per tutto il periodo natalizio. Ci si organizzava per tempo per questo evento. In un angolo del cortile si metteva​ il gran pentolone (caliera) per scaldare l'acqua che serviva per le varie fasi della lavorazione​ Bisognava aver procurato, giorni prima, l'occorrente: budella, sale, pepe, spezie varie e gavetta.

La sera prima si doveva andare a prendere la vanduja (vasca in legno) e fissaora (tavola in legno con bordi). Quel giorno cominciava molto presto, ci si alzava alle 4 per accendere il fuoco e scaldare l'acqua a una temperatura molto alta per poter levare il pelo del maiale.​ Il norcino (santisaro) dirigeva tutte le fasi, alle donne era riservato il compito di raccogliere il sangue che serviva poi per fare delle buone torte. Per questo evento c'era bisogno di parecchia gente e il lavoro si protraeva fino a sera.

In ogni casa dove c'era questo evento di solito arrivavano tutti i bambini della contrada e quasi sempre c'era il solito scherzo. Tutti d'accordo i grandi, mandavano un ragazzetto a prendere lo stampo "dee martondee", dicendo: va da tuo santolo che ti ha preparato lo stampo in un sacco ben legato, fa presto e non fermarti…Quando veniva aperto spuntava un bel sasso.​

A sera era bello vedere penzolare dal soffitto, appesi alle stanghe, salami soppresse, cotechini "musetti" e salsicce.

Tempo dopo passava lo straccivendolo che raccoglieva il pelo e le ossa del maiale.​

Col pelo si costruivano spazzole e pennelli.

 

TRASPORTO DI LEGNA E FIENO DAI MASI

Il boschi e i masi delle famiglie di Colle Alto stavano a nord della contrada in direzione Rubbio.

Per raggiungerli, allora come adesso, c'è la Via Nova, la strada delle Lupie e la Margera che è una via diretta tra le prime due.

La Margera era adatta al trasporto delle segane (legna intera legata in fascio) perchè non presentava curve strette mentre la Via Nova e la strada delle Lupie erano adatte al trasporto con le slitte.

Nei tratti pianeggianti si faceva uso della saonda (una parte grassa del maiale) per lubrificare i pattini della slitta e rendere meno faticoso il trasporto.

Il bosco che ora lambisce le case, a quei tempi era più in alto ed era meno fitto perchè la legna era l'unico combustibile e si facevano tagli più frequenti.

Il taglio era fatto con la scure e roncola e si portava a casa tutto anche i rami più sottili che servivano per accendere la stufa.

Il fieno che si era tagliato su per i masi durante l'estate doveva essere portato a casa fra il tardo autunno e l'inverno. Si partiva presto al mattino con sogati (corde) e ferro da fieno (una lama che si spinge con la gamba) si andava su per la Margera fino sotto i Vendramini, si tagliava il pagliaio in quattro parti e si facevano i fassi (corde che tenevano assieme tramite delle bacchette il fieno) che venivano portati a spalle fino al Collesello e poi da li con la slitta fino a casa.

Chi invece aveva il fieno al Cornetto e nella zona Merli poteva usare la slitta fino a casa o alternare tratti a spalla e slitta.

 

GIOCHI E LAVORI DEI RAGAZZI

Gia' a 9-10 anni, quando si tornava da scuola, c'era sempre da aiutare. Tutti avevano terra e bestie e bisognava andare per fieno, foglie per la lettiera delle vacche, legna, portare letame nei prati e spargerlo.

Per fare le lezioni si aspettava la sera o anche il mattino presto prima di andare a scuola. Spesse volte per stare al caldo si andava in stalla per fare i compiti stando attenti di chiudere o nascondere il quaderno quando una vacca faceva i suoi bisogni.

Una data fissa per i bambini era il primo marzo. Ancora prima di andare a scuola e dopo nel pomeriggio, con un campanello si andava per i prati e anche per i masi a svegliare l'erba.  In quegli anni era una tradizione a cui si teneva molto poi velocemente andata scomparendo. Già da qualche decennio i più vorrebbero inventare qualcosa che addormenti... l'erba.

A scuola si andava tutti a piedi e da soli, i più grandi accompagnavano i piccoli, con qualsiasi tempo.

C'era anche Robertino che, dopo la perdita del papà, con la mamma, dalla Gigiotta andò ad abitare al Collesello dal nonno Beniamino.

Al mattino quando scendeva per andare a scuola, si metteva un bastone tra le gambe a mo' di moto e nelle curve strette faceva anche un paio di manovre per proseguire.

Colle Alto fa da spartiacque tra le due vallate che compongono Valrovina, non c'è un metro quadro di terreno pianeggiante e gli unici luoghi dove si poteva giocare erano i cortili delle case. I giochi che si potevano fare erano il campanon, nascondino e il gioco dei cinque sassetti. Il Sabato pomeriggio, dopo la confessione, si giocava a calcio nel campetto adiacente alla canonica o la Domenica mattina a Campien nel prato del prete (prima dell'imbocco per la val Forame). Bandiera si giocava nel cortile della vecchia scuola sempre al Sabato pomeriggio. Tra la primavera e l'estate i ragazzi facevano a gara a chi trovava più nidi di volatili. Durante l'inverno si slittava sulla neve nel prato di Matio e se il freddo lo permetteva si portava acqua per creare il ghiaccio e prolungare il gioco.

Gli adulti giocavano a carte nelle osterie, a bocce, baineto (tiro al pallino) o a baeta (pallina di cuoio piena) che si giocava nel cortile della vecchia scuola.

Dopo le funzioni del pomeriggio c'era il cinema per i giovanissimi e alla sera per i più grandi, d'estate anche all'aperto.​

Tutto questo è stata opera di Don Luigi Prando.

 

IL FILO'

I posti di ritrovo serale da metà autunno e per tutto l'inverno erano le stalle, dove si radunavano uomini, donne e bambini e si faceva filo'. Il caldo era gratis. Nelle stalle gli uomini giocavano a carte, le donne facevano la dressa, altre lavoravano a fare corone, altre ancora a sferruzzare e i bambini a raccontarsela. Non ci si poteva permettere di restare in cucina a consumare legna per riscaldarsi. Nella prima metà degli anni sessanta è arrivata la televisione e il filo' dalle stalle si è spostato davanti alla TV.

 

ABITAZIONI ANNI 50-60​

Le abitazioni di quegli anni erano molto diverse da quelle attuali, per il tempo erano dignitose però mancavano tante comodità ma davano meno grattacapi in fatto di manutenzione.

Entrando in cucina si notava subito il focolare e  il grande secchiaio in sasso e a volte anche una stufa in mattoni costruita sul posto.   

Nel focolare, al centro del camino, scendeva la catena che terminava con un gancio dove si appendeva la pentola  o il paiolo (lavedo) per fare la polenta. Le stoviglie si mettevano su alcune mensole ancorate al muro sopra al secchiaio. Nella prima in basso, venivano fissati alcuni ganci in cui appendere i secchi dell'acqua, alcuni erano in rame come pure la cassa (grande mestolo) che serviva per prendere l'acqua. Il mobilio era ridotto all'essenziale e si faceva molto presto anche a traslocare.  Salendo nelle camere si notavano subito i grandi lettoni molto alti con dei grandi materassi ripieni di foglie di granoturco (scartossi).

I cuscini erano riempiti con le piume più morbide di polli e galline. Quando materassi e cuscini si appiattivano bisognava rimescolare scartossi e piume per dare forme più morbide. Non si buttava via niente.Nel sottotetto c'era il granaro (soffitta) dove si portavano granoturco, patate, marroni e dove si appendeva a dei muraletti il tabacco per stagionarlo.

Il granaro serviva anche come ripostiglio per mettere le "robe de canton"

Dalla cucina si poteva entrare in stalla e anche in cantina. Una comodità che mancava era il bagno. Si scaldava una pentola d'acqua che si versava in un mastello e ci si lavava, in inverno nella stalla. 

Per gli altri bisogni, il gabinetto (cesso) era all'esterno e a Colle Alto ogni famiglia aveva il suo.

In seguito con le ristrutturazioni delle case vecchie sono spariti i focolari e anche i bei secchiai in sasso. Al posto della stalla e della​ tezza (fienile) si sono ricavate delle belle stanze

Così le nostre vecchie case non ci sono più…

 

Lunardon Aldo

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